Mauro Gola, presidente di Confindustria - Cuneo, ha scritto una lettera aperta in cui, rivolgendosi ai genitori, consiglia la scelta delle migliori e più utili scuole superiori. Nella lettera, gli industriali cuneesi raccomandano di scegliere la scuola superiore in base alle "figure che le nostre aziende hanno intenzione di assumere nei prossimi anni e intraprendere un percorso di studi che sbocchi in quel tipo di professionalità". In particolare, secondo gli imprenditori cuneesi, gli operai e i tecnici specializzati sono rispettivamente il 38% e il 36% della totalità degli impiegati nelle imprese del territorio, insieme agli addetti agli impianti e ai macchinari (per 30%). Come ha già notato ROARS, il Presidente Gola dovrebbe innanzitutto fare una maggiore pratica con le addizioni, dal momento che la somma delle tre percentuali riportate è 104, un risultato assai opinabile.
Al di là degli svarioni aritmetici, questa lettera è un triste ma paradigmatico esempio della mentalità di parte della classe imprenditoriale italiana, secondo cui il sistema della formazione, dalla scuola all’università, deve adattarsi alla domanda di lavoro presente delle imprese, fornendo solo quelle competenze e figure necessarie nell’immediato all’organico delle aziende. È questa la visione miope di un “piccolo mondo antico” imprenditoriale, che non riesce a guardare oltre il profitto immediato e non capisce che solo l’investimento in ricerca, innovazione e sviluppo è in grado di rendere di nuovo competitivo il settore produttivo del nostro Paese nel medio e lungo periodo.
Attualmente l’Italia è tra i paesi europei con il numero più basso di laureati e con i livelli più bassi di spesa in Ricerca e Sviluppo. Basti pensare che nel 2014 gli investimenti privati in R&D ammontavano a €200 per abitante contro i €400 della media europea (EU 18, dati Eurostat). Numeri che parlano chiaro, e che dipingono l’arretratezza del modello economico italiano in quella economia della conoscenza che costituisce un fattore centrale dello sviluppo di modelli produttivi ad alto valore aggiunto.
Investire nell’innovazione dei processi produttivi significa innanzitutto investire nella formazione superiore e universitaria. E proprio a cominciare da imprenditori e manager: come rivela l’indagine Almalaurea del 2015, solo il 25% dei manager italiani sono laureati (51% in Germania), mentre il 28% non va oltre la scuola dell’obbligo (5% in Germania). Infatti, come evidenzia la medesima indagine: “la struttura produttiva del Paese risulta caratterizzata dalla prevalenza di micro e piccole imprese a gestione familiare con stili gestionali poco attenti alla valorizzazione della conoscenza e delle risorse umane, soprattutto nella fase del reclutamento” (Almalaurea 2015: 50).
Ecco perchè facciamo anche noi un appello al senso di “responsabilità, sia nei confronti dei nostri figli, che del benessere sociale e del territorio” degli imprenditori: proprio in base a quel senso di responsabilità, per il futuro nostro e del Paese è prioritario investire nei percorsi di alta formazione, nell’università e nella ricerca pubbliche.
Pubblicato Gio, 01/02/2018 - 17:16
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