La Ricerca Pubblica italiana ha vissuto uno dei tanti e sporadici momenti di elogio e di attenzione in occasione dell'importante scoperta scientifica del laboratorio dell'Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” in merito all'isolamento del Coronavirus. Come accade spesso in queste occasioni, si solleva unanime un coro di orgoglio nazionale e di indignazione per le condizioni lavorative in cui, puntualmente, si riscoprono i ricercatori di turno. Tra le bravi ricercatrici del laboratorio dello Spallanzani vi erano, come accade nella stragrande maggioranza dei casi in Italia, storie di forte precarietà lavorativa.
La realtà è che l'Italia non investe affatto nella Ricerca Pubblica e nei suoi ricercatori. Non parliamo solo di Università, dove abbiamo dimostrato più volte con le Indagine ADI che il 90% degli assegnisti di ricerca è destinato ad essere espulso dal mondo accademico. Ci riferiamo in questo caso anche agli Istituti e agli Enti pubblici che fanno ricerca.
I ricercatori degli enti pubblici italiani vivono praticamente ai margini del sistema della pubblica amministrazione italiana, nell'attesa di una stabilità lavorativa che ogni anno sembra più lontana. Per queste ragioni, un gran numero di professionisti abbandona la Ricerca in Italia per andare all'estero o cambiare semplicemente lavoro. Una perdita di capitale umano drammatica.
Prendiamo il caso dei dottori di ricerca emigrati all'estero. Secondo il rapporto "Il mercato del lavoro 2018" redatto dal Ministero del lavoro, Istat, Inps, Inail e Anpal, oltre i confini nazionali i ricercatori presso enti pubblici di ricerca sono il 7,4%, cioè ben il triplo del 2,4% italiano. Le maggiori opportunità di lavoro e di carriera all'estero sono fondamentali e determinati ed, infatti, ogni anno vediamo emigrare quasi un quinto dei nostri dottori di ricerca. La spesa pubblica italiana in Ricerca e Sviluppo è infatti pari solo allo 0,17% del Pil mentre, ad esempio, la Francia investe quasi il doppio con lo lo 0,28% del Pil e la Germania quasi il triplo con lo 0,42% (dati OCSE).
La politica italiana può continuare sporadicamente ad elogiare le elevate competenze e professionalità dei nostri ricercatori, ma la realtà è che non fa nulla per tenere sul territorio nazionale, presso le proprie strutture, chi è stato formato alla ricerca. Al contrario, ad oggi, il sistema italiano sembra congegnato in modo da scoraggiare qualunque carriera nel mondo della Ricerca Pubblica ma, come dimostra anche il recente caso delle ricercatrici dello Spallanzani, la Ricerca Pubblica è un Bene Comune.
Per tutte queste ragioni, chiediamo alla politica massicci investimenti in Ricerca e Sviluppo per colmare il gap con i Paesi europei più all’avanguardia e chiediamo il definitivo superamento del precariato nel mondo della Ricerca Pubblica, affinché i professionisti della ricerca vengano finalmente portati via dai margini del settore pubblico e vengano valorizzati ed incoraggiati ad investire le proprie vite nella carriera da ricercatore.
Ricerca pubblica
Pubblicato Gio, 06/02/2020 - 07:56
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