Una valutazione non intrusiva per un’università più libera

valutazione ricerca

L’avvio della nuova tornata di VQR ha riacceso le critiche al sistema italiano di valutazione della ricerca, utilizzato per informare parte della distribuzione della quota premiale del Fondo di finanziamento ordinario (FFO). Alle osservazioni del CUN sul nuovo bando VQR si è aggiunto l’appello “Disintossichiamoci”, cui hanno aderito numerosi studiosi, riattivando il dibattito intorno a uno degli elementi più discussi (e discutibili) dell’architettura del nostro sistema universitario, un percorso avviato già nelle rivendicazioni della piattaforma che aveva portato i ricercatori a manifestare il 9 gennaio

 

 

Le distorsioni dell'attuale sistema di valutazione

 

ANVUR, VQR e ASN hanno un ruolo determinante nel governo dell’attuale sistema universitario. La VQR si è rivelata una scorciatoia tecnocratica efficace ancorché brutale per concentrare le risorse, costantemente in diminuzione, senza che per questo la politica - che ha ispirato queste decisioni - fosse chiamata a prendersene la responsabilità. 

L’ASN, allo stesso modo, mascherata da meccanismo per “selezionare i migliori” con riferimento a particolari indicatori numerici (le famose soglie), si è dimostrata essere il solito strumento nelle mani delle cordate disciplinari, oltre ad aver avuto un impatto devastante sulla libertà di ricerca soprattutto degli studiosi più giovani, che risulta sempre più compressa: nel contesto attuale i ricercatori, nelle prime fasi della carriera, per risultare competitivi e superare gli indicatori ASN sono spinti a orientarsi verso i filoni mainstream delle proprie discipline, quelli che possono garantire maggiori dosi di citazioni e impact factor più alti o che, semplicemente, nel corso degli anni hanno drenato risorse e possono promettere una carriera più ordinata.

 

A rendere ancor più distorsivi gli effetti, già drammatici, prodotti da questa articolazione concorrono la circostanza che tale sistema sia governato da chi non ha dovuto subire le pressioni del publish or perish durante la propria carriera, insieme alla mancanza di trasparenza e di canali partecipativi nella scelta dei criteri di valutazione: ad assegnisti e ricercatori, che costituiscono una larga parte della comunità scientifica, è impedito partecipare alle decisioni.

 

Emergono, allora, con forza, in questa fase, tutte le distorsioni dei sistemi in commento: la massiccia concentrazione delle risorse perlopiù in grandi atenei del Nord Italia, a causa, più che della quota premiale dell’FFO, principalmente dei “dipartimenti di eccellenza”; la corsa degli studiosi al superamento di mediane per loro natura destinate ad aumentare nel tempo; il ricorso a pratiche di doping citazionale o della quantità di prodotti. Tutto questo rende urgente ripensare la valutazione e l’accreditamento, costruendo un sistema meno distorsivo e meno intrusivo nei confronti della libertà dei ricercatori.

 

 

Cosa serve davvero?

 

La prima urgenza è scollegare la valutazione delle strutture dalla ripartizione delle risorse. Dopo nove anni di ripartizione premiale dei fondi bisogna chiedersi se questo strumento sia ancora valido oppure, come pensiamo, abbia fatto il suo corso concentrando a dismisura le risorse negli atenei più grandi e generalmente collocati al Nord. Oggi il nostro sistema universitario ha bisogno di un meccanismo perequativo che contribuisca a rafforzare le strutture maggiormente in difficoltà, che corrispondono perlopiù a quelle insistenti sulle aree maggiormente svantaggiate del territorio nazionale (e nelle quali aree costituiscono uno dei pochi riconoscibili presidi dello Stato).

 

Per quanto invece attiene alla valutazione degli studiosi, è evidente che un’ASN così strutturata serva essenzialmente al mantenimento di quote di potere concentrate ai vertici della piramide; andrebbe invece ripensata sia nei meccanismi, diminuendo il peso degli indici bibliometrici e valorizzando adeguatamente l’impegno nella didattica e nella terza missione (pur con molte cautele su come questo potrebbe essere recepito), sia nella finalità. Il modo più adeguato di ristrutturare questo strumento sarebbe trasformarlo in una soglia minima di pubblicazioni e attività didattiche svolte da superare per accedere ai concorsi a cattedra; tale soglia avrebbe l’unico scopo di registrare il fatto che lo studioso richiedente l’abilitazione sia effettivamente attivo in quel settore accademico, in modo da eliminare il sistema delle mediane in continuo aumento. 

 

Infine, bisogna riconoscere che i rischi di dirigismo sono impliciti nella centralizzazione dei poteri al vertice di un’unica grande agenzia.  Questo verticismo è uno degli elementi peggiori del sistema di valutazione italiano, anche perché contiene grandi zone di opacità; un primo necessario intervento è quello di aprire la partecipazione ai GEV ad assegnisti e ricercatori che, tra l’altro, rappresentano le categorie accademiche più frequentemente, nel corso della propria carriera, sottoposte a momenti di valutazione. Ma è soprattutto urgente pensare a pratiche di valorizzazione della discussione interna alle aree accademiche che permettano di decentrare la valutazione stessa, affidandola sempre più al controllo reciproco tra gli scienziati piuttosto che a kafkiani meccanismi burocratici; in questo contesto, va assolutamente abolita l’arbitraria classificazione delle riviste scientifiche in due livelli separati, classificazione che peraltro ha avuto l’effetto di mortificare le pubblicazioni non anglofone a prescindere dal loro reale valore, in quanto il giudizio sulla qualità di un prodotto scientifico deve essere dato dagli studiosi competenti e non dipendere da criteri arbitrari.