Immigrazione Italia | L'Italia è agli ultimi posti tra i Paesi OCSE per attrazione di lavoratori altamente formati. Grazie al questionario ADI "Ascoltare per rappresentare" sappiamo ad esempio che i dottorandi stranieri incontrano barriere linguistiche e burocratiche. Inoltre, le prospettive future in Italia non sono affatto incoraggianti a causa degli scarsi investimenti in ricerca sia del settore pubblico che del settore privato. Le proposte dell'ADI sull'Università e sulla valorizzazione del dottorato mirano proprio a cambiare tutto questo.
L'indice OCSE Attrattività per laureati e dottori di ricerca
L’ultima uscita del
Migration Policy Debates dell’
OCSE contiene dati interessanti e preoccupanti riguardo i
flussi migratori di laureati e dottori di ricerca. Tra gli indicatori elaborati dall’organizzazione vi è infatti il grado di attrattività di ogni Paese per immigrati altamente formati, dotati cioè di laurea equivalente alla nostra attuale “magistrale” e dotati di dottorato di ricerca (pagg. 4-5). Su una scala da 0 ad 1,
l’Italia rileva un indice di attrattività di circa 0.4, un valore talmente basso da posizionare il nostro Paese in fondo alla classifica dei 35 Paesi OCSE. Dietro di noi, infatti, solo Grecia, Messico e Turchia.
Secondo il rapporto dell’OCSE, i Paesi meno attraenti per lavoratori immigrati altamente qualificati sono quelli che presentano in genere contesti poveri sul piano delle competenze. Le ragioni di questa situazione sono certamente molteplici e hanno radici lontane, ma certamente ruotano intorno agli scarsi investimenti in istruzione, in formazione ed in ricerca e sviluppo del nostro Paese. Non trascuriamo, inoltre, neanche le ragioni legate al clima politico e sociale alimentato dall’aspro dibattito pubblico che ruota intorno alle politiche migratorie italiane. Un clima di intolleranza che ci ha spinto anche a cambiare il nome dell’associazione durante l’ultimo Congresso. Non è un caso, infatti, che i Paesi che attraggono di più i lavoratori altamente qualificati - tra cui Australia, Svezia, Svizzera, Nuova Zelanda, Canada e Irlanda - lo facciano, secondo l’OCSE, grazie a fattori come l’inclusività delle proprie società, le prospettive future vantaggiose e contesti di livello eccellente sul piano delle competenze
Non è un Paese per dottorandi e dottori di ricerca
Se ci soffermiamo in particolare su dottorandi e dottori di ricerca, sappiamo ad esempio che l’ambiente offerto dal nostro sistema universitario e le prospettive di carriera, all’interno e all’esterno del mondo accademico, non sono affatto incoraggianti.
Come emerso dal questionario ADI “
Ascoltare per rappresentare”, i
dottorandi stranieri incontrano mille difficoltà a causa di meccanismi discriminatori dovuti a barriere linguistiche, lungaggini burocratiche e diritti non riconosciuti. Tra i commenti che i rispondenti al questionario hanno rilasciato, ad esempio, leggiamo di dottorandi stranieri che non rifarebbero e non consiglierebbero il dottorato in Italia, di assegni di ricerca a cui non è possibile accedere se non si è madrelingua italiani, di maggiori spese sostenute perché non si hanno gli stessi diritti che hanno i lavoratori stranieri (essendo il dottorato in Italia inquadrato come semplice percorso di studi) e di difficoltà di natura burocratica con i permessi di soggiorno.
Inoltre, le
prospettive di carriera in Italia per chi ha un dottorato non sono affatto promettenti. La
VIII Indagine ADI ha dimostrato che solo il 9,5% di chi ottiene uno o più assegni di ricerca è destinato a diventare professore associato. Al di fuori del mondo accademico il titolo di dottore di ricerca non è valorizzato come dovrebbe essere. Generalmente, i concorsi pubblici non riconoscono il titolo e le imprese private non ne tengono conto, anche perché il tessuto produttivo italiano è caratterizzato per la quasi totalità da piccole imprese che trascurano gli investimenti in ricerca. Si pensi che solo il 9,3% dei dottori di ricerca trova occupazione nel settore dell’agricoltura o dell’industria e, di questi, solo poco più della metà può aspirare a fare effettivamente ricerca: secondo le dichiarazioni rilasciate all’ISTAT, solo il 65% di essi (
ISTAT, 2018).
Un quadro desolante per le aspirazioni di chi ha conseguito un dottorato.
Le proposte ADI
Per tutte queste ragioni, l’ADI chiede una
riforma del dottorato imperniata sul riconoscimento del dottorando come vero e proprio lavoratore in formazione, misure per la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca nella
scuola e nella
pubblica amministrazione e un
piano di sostegno all’innovazione e di incentivi mirati alle imprese che fanno ricerca e sviluppo.
Le riforme che chiediamo possono contribuire a creare quell’ambiente produttivo e sociale che rende un Paese attraente anche per lavoratori altamente formati. Siamo certi che lottando tenacemente per affermare istanze come le nostre riusciremo a capovolgere le classifiche internazionali che continuano a vedere l’Italia sempre come fanalino di coda.
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