Senza confronto con le parti sociali nessuna riforma del dottorato e del postdoc!

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Negli ultimi giorni il Ministro dell’Università e della Ricerca, Gaetano Manfredi, ha rilasciato dichiarazioni che destano l’interesse di chi, come noi, si batte ogni giorno per i diritti e le prospettive di dottorandi e precari della ricerca.

In un’intervista a Omnibus (14 giugno) il Ministro ha manifestato l’esigenza di riformare il dottorato di ricerca per volgerlo non solo alla carriera accademica, ma anche - e, parrebbe, soprattutto - alle imprese, all’amministrazione e alla dirigenza pubbliche. Di una riforma del DM 45 si parla in realtà da tempo e lo hanno fatto diversi titolari del dicastero succedutisi negli ultimi anni. In effetti, l’esigenza di valorizzare il titolo di dottorato anche nella Pubblica Amministrazione, nel mondo delle imprese ed in quei settori in cui si collocano interessi pubblici e collettivi particolarmente sensibili (la scuola su tutte) è un’esigenza da tempo sottolineata dall’ADI, anche perché le risorse normalmente a disposizione di post-doc e reclutamento sono talmente scarse da rendere impossibile a circa 9 dottorandi su 10 che cominciano un post-doc di proseguire la carriera accademica.

Nella sua intervista, però, il Ministro dell’Università e della Ricerca parla di una riforma intesa a fare del dottorato il perno per sviluppare determinati settori altamente competitivi ed attrarre investimenti (anche) dall’estero. Sembra dunque che il Ministro Manfredi abbia in mente un dottorato votato alla logica della competizione, alle esigenze delle punte più avanzate del mercato e del public management. Secondo la nostra visione, al contrario, il dottorato deve essere anche e soprattutto votato alla ricerca pubblica e di base e a ridurre le divergenze esistenti fra poli di ricerca e aree del sapere scientifico, non ad acuirle in vorticose dinamiche ultra-competitive. E, soprattutto, la riforma del dottorato dovrà necessariamente essere una riforma globale che si occupi, cioè, non solo della politica della ricerca ma anche dello status giuridico del dottorando. In questo senso restano essenziali le proposte ADI volte a riconoscere giuridicamente, con tutti i crismi contrattuali del caso, la natura di lavoratore o lavoratrice della ricerca in formazione di chi sta svolgendo un percorso di dottorato.

Entrambe le considerazioni conducono ad un’altra recente dichiarazione del Ministro: in un’intervista a La Stampa (16 giugno), il titolare del dicastero ha parlato del piano di assunzioni di 6.000 ricercatori di tipo B (frutto delle risorse messe a disposizione dal Decreto Milleproroghe e dal Decreto Rilancio) solo come il primo passo verso una riforma del reclutamento che porti le nostre Università ad avere “un numero di ricercatori congruo e stabile nel tempo”. Sembrerebbe un piano strutturale, da varare nel giro di un anno, reso necessario - nelle parole del Ministro - dal fatto che per lungo tempo ci sono stati “soltanto interventi episodici” che, frustrando le aspettative di moltissime e moltissimi dottori di ricerca formatisi nei nostri atenei, hanno fatto “perdere ai giovani tante opportunità”.

Sul tema del reclutamento e del precariato abbiamo le nostre proposte, alcune delle quali sono accolte da taluni dei vari progetti di legge in materia che giacciono in Parlamento (si veda ad esempio il dl Verducci). Proprio di tutti i progetti di legge sul tema il Ministro afferma di voler fare sintesi per presentare una proposta organica d’iniziativa governativa. Il proposito è interessante, ma si tratta di un percorso che non può essere svolto dal Ministero in solitudine: da anni l’ADI lotta contro il precariato diffuso nelle università e negli enti di ricerca per garantire continuità, sicurezza, dignità del lavoro e qualità a tutti coloro che sono impegnati nel settore della ricerca, come emerge sia dalle nostre indagini e sia dalle nostre proposte. 

Riteniamo dunque essenziale che il Ministero si confronti con le parti sociali, evitando di chiudersi in un’autoreferenzialità che danneggerebbe tutta la comunità accademica.